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ARTICOLI
LAVORARE IN GRUPPO
UN'ESPERIENZA
DI GRUPPO TERAPEUTICO A BREVE TERMINE IN UN CONTESTO ISTITUZIONALE
BARBARA ROSSI, psicologa,
PASQUALE CIRIGLIANO, psicologo
Articolo pubblicato su "Prevenzione
e salute mentale", a cura di Piccione e Grispini, ed. Carrocci, 1998,
Roma
L'esperienza cui si fa riferimento è stata
realizzata all'interno di un servizio psichiatrico territoriale e ambulatoriale
(1).
Parlare di un'esperienza così peculiare ci sembrava importante
come lavoro di prevenzione, secondario rispetto ai rischi di uno scompenso
strutturale di personalità, avviando invece percorsi terapeutici
alternativi.
L'idea di realizzare un gruppo di terapia breve nasce oltreche da una
scelta teorica (si rimanda per questo ai lavori del dr. Fasolo del 1992,
1993, 1996), anche da esigenze economiche, per far fronte al sovraccarico
di lavoro, e da motivazioni pratiche, di fronte al precariato e al contratto
a termine di chi avrebbe condotto il gruppo.
In origine la domanda che ci si poneva riguardava la possibilità
di realizzare una sorta di "psicoterapia breve di individuazione
in gruppo per adolescenti in break-down evolutivo" (visto l'elevato
numero di "adolescenti" arrivati al servizio psichiatrico in
quel periodo), rifacendosi al modello di intervento di Senise (1990) e
alle metodologie di lavoro di gruppo, per valorizzare e mobilitare le
risorse e i punti di forza dei singoli.
Poi le condizioni contestuali sono cambiate, tra cui la tipologia delle
richieste che pervenivano, che riguardavano soprattutto giovani adulti.
Questo ci ha sollecitato a modificare in parte il progetto iniziale, tenendo
comunque presenti i principi base dell'impostazione originaria.
In questo nuovo progetto il focus dell'intervento, esplicitato successivamente
anche coi membri del gruppo, riguardava le problematiche relazionali.
L'intento era quello di mobilitare nuove risorse, in modo da riattivare
il percorso evolutivo dei partecipanti e uscire da una problematica di
non-pensabilità (come i disturbi psicosomatici) o addirittura di
cronicità (persone che presentavano da vari anni difficoltà
come blocchi del pensiero, o grave chiusura relazionale, con alle spalle
diversi fallimenti terapeutici). Utilizzando le parole di Meltzer, diremmo
che si voleva rimettere in gioco "la capacità di muoversi
tra posizioni diverse".
Questo avrebbe aumentato inoltre la fiducia di base e favorito quindi
la possibilità di continuare il percorso avviato in relazione alle
proprie esigenze.
Il fatto che il gruppo dovesse essere a breve termine (da giugno a ottobre,
per un totale di 4 mesi di attività) poteva sì costituire
un limite (certo non avrebbe potuto raggiungere molti obiettivi, nè
essere risolutivo di problematiche così complesse) ma poteva diventare
anche una risorsa: molti pazienti hanno iniziato questa esperienza proprio
perchè breve, quindi gestendo la loro ambivalenza con l'idea illusoria
che fosse un lavoro più controllabile di una terapia indeterminata,
in cui si sa quando si inizia ma non quando si termina. Per dei pazienti
per cui era così difficile farsi aiutare, il gruppo breve avrebbe
potuto funzionare come un "assaggio" di intervento terapeutico,
con il valore di prevenzione rispetto al rischio di una cronicizzazione
(e per alcuni il rischio era assai rilevante). Infine, il confronto con
una temporalità determinata poteva catalizzare le energie e sollecitare
maggiormente il lavoro del gruppo, lasciando poco spazio a posizioni passive.
Trattandosi di un gruppo a tempo determinato, a cadenza settimanale, con
incontri di circa 90-100 minuti, si è pensato di realizzarlo come
gruppo chiuso, per cui è stato necessario curare con un'attenzione
particolare sia la selezione che la preparazione delle persone.
I pazienti, tutti in carico al servizio, sono stati selezionati in modo
da escludere soggetti con una struttura psicotica o in fase acuta o con
un'importante componente depressiva, necessitando questi ultimi di interventi
più lunghi nel tempo e portando angosce che sarebbero state distruttive
per il gruppo stesso.
I 7 partecipanti presentavano comunque problematiche complesse, ovvero
nevrosi, nevrosi ossessiva, disturbo di personalità, con pesanti
sintomi psicosomatici (mal di testa e mal di stomaco in particolare),
e/o fobie, e/o attacchi di panico, e/o chiusura relazionale e sociale,
e/o aspetti narcisistici e ipocondriaci.
Tutti avevano alle spalle uno o più trattamenti psicoterapici interrotti
o risultati fallimentari.
Si è fatta particolare attenzione anche al criterio di eterogeneità
nella selezione, rispetto all'età (con un range dai 28 anni ai
41 anni), includendo persone di entrambi i sessi, con differenti esperienze
di vita e diversa cultura, come valorizzazione delle diverse dimensioni
dell'essere, avendo ognuno di loro sviluppato aspetti particolari del
sè.
L'eterogeneità non doveva comunque tradursi in una distanza eccessiva,
in modo da suscitare curiosità e desiderio di confronto e non solo
smarrimento di fronte al diverso.
Tutti hanno avuto alcuni colloqui individuali precedenti l'inserimento
in gruppo, alcuni solo per un ascolto e una valutazione funzionale, altri
invece avevano iniziato un lavoro di chiarificazione/sostegno, giunto
a un punto di svolta.
Non è stato semplice preparare questi pazienti al gruppo (sono
stati necessari ben 4 mesi) e si sono verificate molte oscillazioni rispetto
alle possibili adesioni. In certi momenti, ad esempio, sembrava ci fossero
solo donne per il gruppo, allora è iniziata la ricerca di pazienti
maschi, tanto da ritrovarsi in un altro momento con solo aspiranti di
sesso maschile. Anche gli invii sono stati faticosi e disorientanti, visto
che da nessun potenziale paziente per il gruppo si è passati alla
prospettiva di un numero considerevole, il che avrebbe permesso l'avvio
di più gruppi con differenti caratteristiche, poi sfumati a un
certo punto, riducendosi a pochi effettivi invii.
Decisamente importante è stato, in questo percorso, la possibilità
di discuterne con una persona esterna. Per tutti era un'esperienza nuova.
Rispetto a coloro che poi non sono entrati nel gruppo, possiamo dire che
l'idea e la possibilità di parteciparvi ha mosso importanti emozioni
e vissuti, su cui però si è preferito lavorare in un setting
individuale.
Il gruppo era condotto unicamente dalla psicologa, secondo un orientamento
psicodinamico, facendo particolare attenzione alle dinamiche gruppali
e puntando sulla valorizzazione e mobilizzazione delle risorse interne
al gruppo, per il raggiungimento di un miglior assetto di funzionalità
e organizzazione personale (Fasolo, 1996).
Sono stati realizzati 17 incontri.
Inizialmente nel gruppo erano tutti molto perplessi e titubanti. Prima
di parlare guardavano al conduttore, quasi per prendere coraggio, poi
si "buttavano nel gruppo", un po' come i bambini che chiedono
alla madre di essere guardati mentre compiono il loro salto prodigioso!
In altri momenti, invece, si confrontavano tra loro rispetto al percorso
individuale seguito precedentemente, portando anche la rabbia o le perplessità
e la gratitudine per comportamenti "strani" della psicologa
o dei terapeuti precedenti: "..ho avuto più difficoltà
a parlare con Lei...quando ride sembra anche umana, altrimenti ti fa domande
strane, tipo come ti senti, e non sai che rispondere e ti senti scemo!...."
e ancora "...Io vorrei sapere perchè uno psicologo non dice
mai niente! Vorrei sapere perchè sono così, cosa ho sbagliato
io e cosa no, qual'è la causa, ma loro non dicono mai niente! Sono
stata anche da altri, ma lei (la conduttrice) è quella che parla
di più e......non dice niente!?.....Come parlare a un muro... !"
oppure "..ci sono cose che in gruppo è più difficile
dire..ci vuole più tempo...per esempio c'è una cosa che
non ho detto a nessuno, solo a lei, anche perchè sta lì,
aspetta, ti guarda sempre!...Gliele dici, così almeno basta!"
D'altra parte ciò che li accomunava era proprio l'aver lavorato
con psicologi.
Un aspetto importante che ha permesso l'avvio di una nuova fase di discussioni,
esplorazioni e scoperte più propositiva e attiva, è la scoperta
di aver rivelato negli incontri individuali un segreto grandissimo e difficilissimo,
custodito per anni perchè impresentabile agli altri per la vergogna
e l'imbarazzo che avrebbe potuto suscitare. Questo accenno consentiva
di sondare altresì il terreno per verificare se c'era la possibilità
di condividere questi segreti anche nel gruppo, così com'è
poi realmente successo. Si trattava in altri termini di un gioco, tra
spazio privato da conservare e possibilità di affidarsi al gruppo.
La condivisione di quei segreti pesanti, che in passato avevano bloccato
lo sviluppo del Vero Sè, ha permesso così un nuovo tipo
di contenimento da parte del gruppo, un contenimento fatto tra l'altro
di complicità, ironia, commozione, affetto e gratitudine, tale
da permettere di guardare con occhi nuovi a quei problemi. Inoltre, lo
sperimentare la possibilità di scegliere tra cosa dire e cosa non
dire, quando comunicare e come, senza "sentirsi forzati a parlare",
ma comunque incoraggiati, ha favorito al contempo lo sviluppo di una maggiore
autostima e individuazione (2). Gradatamente, in questo modo, il discorso
si è allargato ad altre tematiche (famiglia d'origine, partner,
amici, relazioni sessuali, lavoro....). Da un atteggiamento protestatario,
in quanto chi conduceva non rispondeva-risolveva i problemi via via affrontati,
si è passati all'idea a volte vacillante, che se la psicologa non
interagiva attivamente nel gruppo, era perchè aveva fiducia nelle
loro capacità di crescere e di affrontare i problemi.
Ed è stata un'esperienza intensa, con momenti carichi di euforia,
progetti, propositi che venivano man mano sperimentati, e momenti di tensione,
di sconforto e grande difficoltà.
Due membri, in particolare, avevano difficoltà ad essere presenti
in questa storia di gruppo, una per l'incapacità di conciliare
lavoro e terapia, ritagliandosi uno spazio per sè, l'altro in modo
controdipendente ripetendo a se stesso, nei momenti di difficoltà,
che il gruppo non gli "faceva effetto", salvo poi descrivere
gli importanti cambiamenti che lui si era deciso ad operare, visto che
nessun altro avrebbe potuto produrli. C'è stato anche un effetto
esilarante e di stupore per il ritrovare frammenti della propria storia
nella vita di un altro. "Come si somigliano due storie anche così
diverse come quella di Gianni e la mia" diceva Anna. E così
potremmo dire anche di altri.
L'impressione è che il gruppo sia stato una rivitalizzazione anche
per il servizio, un elemento di novità che incuriosiva e affascinava.
A questo riguardo si può riportare lo sguardo di stupore delle
infermiere, sconcertate nel vedere persone (i ritardatari del gruppo)
saettare di corsa, lungo il corridoio, e infilarsi in un qualche studio,
senza sapere dove si nascondessero e contrariamente a tutti gli altri
pazienti, appisolati sulle sedie, o impegnati a elemosinare sigarette
e monetine ai passanti. Altre volte, i membri del gruppo, dopo la diffidenza
iniziale, si vedevano invece chiacchierare in sala d'attesa, con aria
compiaciuta, disinvolta e rilassata, ben diversamente dalle facce impaurite
che si vedono solitamente.
Particolarmente difficile è stata invece la chiusura del gruppo:
l'aspetto negativo delle esperienze positive è che finiscono troppo
presto.
A lungo il gruppo ha ignorato la conclusione, nonostante i rimandi che
venivano offerti. Il tutto procedeva come se la fine non fosse stata una
fine.
Ai partecipanti è stata chiesta una valutazione scritta del percorso
svolto, in diverse copie, per farle circolare tra loro e poterne discutere
insieme.
Molti mali (di testa, di stomaco, attacchi di panico...) sono svaniti,
dicevano, nel momento in cui avevano iniziato ad affrontare problematiche
relazionali scottanti, fino a quel momento aggirate, riprendendo le fila
del loro progetto di vita.
(1) Il Servizio psichiatrico di cui si parla è il SIMAP,
Servizio d'Igiene Mentale e Assistenza Psichiatrica dell'USL di Modena;
il lavoro di gruppo è stato realizzato grazie anche alle sollecitazioni
del Responsabile del Distretto, il dr. G. Rossi e al consenso del Primario
del Servizio stesso, dr.ssa T. Montevecchi, che qui si ringraziano.
(2) Va da sè che il lavoro sul segreto è legato,
come testimonia in particolare il lavoro con gli adolescenti, alla costruzione
di quello spazio privato nascente di cui parla anche Senise.
BIBLIOGRAFIA
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breve nei Servizi di Salute Mentale: l'intervento focale di primo contatto,
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Roma, 1971.
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Roma, 1972.
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La certezza del noto, l'approccio all'ignoto, Psichiatria Gen. Età
Evol., 26, pp. 441-453.
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Cortina editore, Milano, pp.769-837
De Polo R. (1996), Gruppo e identità, relazione
presentata al Convegno Internazionale A.P.G.-C.O.I.R.A.G. sul tema: Il
gruppo terapeutico tra pubblico e privato, Università degli Studi,
Milano 17-19 maggio 1996, in via di pubblicazione.
Fasolo F. (1992), La fine della presa in carico,
Psichiatria Gen. Età Evol., 30, pp. 323-341.
Fasolo F. (1993), "La psicoterapia gruppoanalitica
nel Dipartimento di Psichiatria" In: Di Maria Franco e Lavanco Gioacchino,
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Fasolo F., Barillaro A.M., Cantù C., Cortese
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e Psichiatria, 1, pp.71-81
Fasolo F. (1996), La responsabilità dei servizi
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Senise T. (1990), Psicoterapia breve d'individuazione,
Feltrinelli Editore, Milano.
Yalom I.D. (1970), Teoria e pratica della psicoterapia
di gruppo, Trad. It., Bollati Boringhieri, Torino, 1974.
Benchè la data d'inizio fosse stata fissata
per tempo, solo negli ultimi giorni è stato chiaro chi vi avrebbe
partecipato, placando così le nostre ansie. Difficile qui dire
quanto fosse una difficoltà di gestione della conduttrice, visto
che era il suo primo gruppo terapeutico, o quanto fosse un problema delle
persone a parteciparvi o quanto ancora del servizio, indifferente all'inizio
della progettazione e poi desideroso di prendervi parte, tanto da dover
difendere il gruppo nascente, ancora fragile e vulnerabile.
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